mercoledì 16 dicembre 2015

La carica dei cento e uno

Passano un paio d'anni e Disney segna una piccola svolta rinnovando il linguaggio e abbandonando le principesse di favole classiche per tornare ai cani: il tema della difesa degli animali, oggi estremamente attuale e discusso, segna la modernità dell'opera. I dalmata di Walt Disney ci impietosiscono essenzialmente in quanto cani, bestioline indifese di fronte alla crudeltà degli uomini. I protagonisti di Lilli e il vagabondo erano più maliziosi e indipendenti dall'intervento umano, sognavano di vivere liberi e randagi. I dalmata, al contrario, non vedono l'ora di tornare a casa, perché il mondo appena fuori li vuole condannare a morte. Qui i cani sono tutti amici, solidali e pronti ad aiutarsi, la cattiveria appartiene solo agli essere umani (in questo ricorda Gli Aristogatti). Come era facile aspettarsi, gli anni sessanta e i temi impegnati non risolvono la rappresentazione di genere, perché Peggy e Anita sono personaggi marginali e porelli che impallidiscono al confronto dei loro compagni brillanti, determinanti e simpatici. Il rapporto uomo-donna è ancora espresso da una dicotomia rigida e abbellita di cliché di gran moda. Vediamo nello specifico.


Tanto per cominciare, deliziosa l'osservazione iniziale di Pongo sulla necessità di una donna per il padrone: non per colmare il vuoto della sua esistenza, ma per mettere in ordine una stanza disastrosa, tipica di un single sulla trentina. Poi c'è l'accurata selezione alla finestra di una compagna adatta, a dimostrare che spetta al maschio esprimere una preferenza sulla base dell'aspetto fisico e andarsela a conquistare come un vero cacciatore. Peggy non deve far altro che la preziosa, e indignarsi quando la padrona finisce nel laghetto in lacrime, ma può sorridergli complice appena la coppia trova una sintonia. Da registrare un matrimonio civile, mica male! 



Peggy e Anita mostrano il solito ventaglio di caratteri femminilizzati: l'apprensione, la paura, la pazienza, la remissività, la serietà, la maternità e i doveri della famiglia. Nessuna delle due sa sa imporsi alla maleducazione e all'arroganza di Crudelia: una scappa a nascondersi, l'altra reagisce con rassegnazione e gentilezza. Che poi dico, una a cui solo le pellicce danno gioia, non ti viene in mente perché possano interessarle tanto i cuccioli? Al contrario, Rudy la sfotte con le sue canzoni e, quando si rende necessario, la rimette al suo posto facendo ricorso al suo coraggio, nonostante la mitezza del carattere. Pongo capisce da subito che non le piace e non fa nulla per nasconderlo. 



Quello di Peggy è il tono della rassegnazione, del timore e dello scoraggiamento (Pongo, come facciamo? Pongo, ho tanta paura), quello di lui della fiducia e della determinazione (non lo so cara, ma in qualche modo ce la faremo). Mai un'idea valida, un po' di spirito di iniziativa, sempre gregaria e insicura. E' un personaggio secondario proprio perché non ha carattere, non è simpatico, divertente, decisivo nella storia. Anche la controparte maschile è dipinta senza nessuna sorpresa: allegri, ironici, ottimisti, coraggiosi, sanno imporsi quando serve ed essere decisivi. Sono simpatici e fanno divertire, cosa che non si può dire delle loro trepide e preoccupate compagne. Rudy è un musicista e fa della passione il suo lavoro; cosa sappiamo di quello che Anita fa nella vita, o faceva prima di incontrare Rudy?



L'evento della nascita, poi, è quasi ridicolo nel sottolineare l'estraneità e l'ignoranza maschile, lasciandoli nella stanza accanto sospesi nell'attesa snervante e misteriosa, come se il parto fosse roba da donne. Come se un uomo non potesse vedere la vagina di una cagna! Non a caso, però, suo è l'intervento decisivo che salva il cucciolo dalla morte.



L'esercizio dei ruoli sessuali insiste anche quando i protagonisti diventano genitori: la madre è quella che si preoccupa per la sorte dei cuccioli prima e dopo la nascita, li riprende quando si esprimono con espressioni poco eleganti e segue la loro educazione dando loro noiose direttive, come andare a dormire. Pongo anche da padre rimane giocherellone e spensierato, in sintonia con lo spirito dei cuccioli, ma ovviamente anche fornito di polso e coraggio quando serve, e guida la compagna in tutte le imprese più pericolose. Anche quando affrontano la disperata impresa di salvare i cuccioli, è Pongo a pensare come usciranno di casa, a guidare la coppia in mezzo alla neve, a fiutare la strada giusta. Non è forse eloquente che l'amico alano li saluti gridando "Buona fortuna, Pongo!" come se Peggy fosse lì a farsi un giro? Almeno nella bagarre contro Orazio e Gaspare lotta alla pari, vivaddio.  


Ma poi, in questa cucciolata ci saranno anche delle femmine? Com'è che non prendono mai parola? Sarà un caso che i cuccioli di cui conosciamo nomi e peculiarità siano tutti maschi? L'unica che ricordo è quella che chiede conferma alla madre per sporcarsi nella fuliggine, incerta se approvi un comportamento così spassoso e istintivo. Da registrare anche l'approccio degli animali che si prestano ad aiutare i cani in fuga. I maschi pensano al lato pratico: si mettono in comunicazione, organizzano la fuga, indicano un rifugio, distraggono i furfanti, senza aver il tempo di intenerirsi per la cucciolata. Sono sergenti, capitani, colonnelli, percorrono chilometri sotto la neve per dare soccorso e hanno un atteggiamento autorevole, serio, sprezzante del pericolo. Le mucche, al contrario, vanno in brodo di giuggiole e con la voce tipica delle vecchiette gentili si chiedono come si possa essere crudeli con creature così indifese, confermando due cliché sulla femminilità: l'istinto materno e l'aborrito della violenza. Sono animali forti e intelligenti, ma possono solo offrire del latte e mostrarsi tenere e comprensive, non certo correre in giro a dare l'allarme. 



Un breve appunto su Nilla, la donna di servizio, che nulla aggiunge al film eccetto la solita mortificazione femminile: ignorantella, ingenua e affettuosa, la classica poveraccia di campagna che nulla può contro la determinazione dei furfanti a rubarle i cuccioli, se non rendersi ancora più ridicola. 


Mi sono lasciata il meglio in fondo: Crudelia è un personaggio negativo molto significativo e particolarmente moderno. Essendo la vicenda più simile a un racconto metropolitano che a una favola ambientata nel bosco, viene per forza di cose ricondotta a misure realistiche e sensazionali: invece di produrre malefici intrugli, organizza rapimenti. Non è un prototipo universale di malvagità, come la strega di Biancaneve, ma piuttosto una caricatura: vamp ossuta e sfiorita, bocchino lunghissimo, un trucco troppo carico. Le manca l'aspetto magico di altre cattive disneyane. Nonostante questo, è premiata subito con il mito. Molto caratteristica e riconoscibile come personaggio Disney grazie alla camminata, ai capelli bianchi e al corpo magrissimo.


Dal canto mio, non posso che rimanere affascinata da una donna potente e capace di incutere timore anche a Rudy, a Pongo e ai suoi scagnozzi. Mi piacerebbe incutere lo stesso terrore alle persone, ma non vorrei avere il suo scazzo perenne. Purtroppo, l'indipendenza e la testa di cazzo vanno sempre pagate con paranoie, fissazioni, invidie e gelosie, nonché con la rinuncia a una bellezza pura e semplice, che tocca invariabilmente alle buone: le cattive possono limitarsi ad esercitare un fascino oscuro, che le bambine si guarderebbero bene dall'invidiare, quando hanno modelli così perfetti e invitanti a cui aspirare. Fortunatamente, la fissazione di Crudelia è di tipo prettamente veniale, non gliene importa un fico secco di invidiare l'ex compagna di classe per il compagno o la bellezza. E' soddisfatta di sé, nonostante Rudy la sfotta per l'aspetto spaventoso.


In Disney il bene e il male sono sempre agli estremi, come se le persone vere non fossero piene di sfumature. Non sia mai che il pubblico arrivi a pensare che in fondo cattivo è bello! Se Anita è graziosa, gentile, amorevole, per bene, sposata, la sua antagonista deve essere brutta e arrogante, uccidere animali per il proprio piacere, guidare come un'indemoniata, infuriarsi per un nonnulla, calpestare i piedi a chiunque, essere egoista e fare le peggio cose, indifferente alle vite altrui: a una donna del genere non a caso manca un compagno che sappia domarla e sopportarla. Oh, quanti incoraggiamenti alla passività femminile!


Rimane un film divertentissimo, come molti delle produzioni Disney, perché li abbiamo visti e rivisti per anni, da piccoli o piccolissimi, e il ricordo di quelle gag oggi ci fa sorridere. Un film che riflette pur sempre il desiderio del nostro sistema culturale e impone con violenza stereotipi falsi e mortificanti alle nuove generazioni. 
 
Nel 2003 esce il buon sequel di ogni classico che si rispetti: Macchia, un eroe a Londra. Rispetto a Bambi, che ho visto un paio di volte da bambina e che ricordavo pochissimo, la delusione è stata cocente nel constatare che i disegni e le voci dei personaggi sono del tutto diversi. Essendo trascorsi quarant'anni era difficile il contrario, tuttavia il fascino e l'atmosfera londinese del primo film fanno sentire la loro mancanza. 
Dal punto di vista di genere c'è davvero poco da dire. La gran parte dei personaggi principali è già stata caratterizzata nel primo film e viene riproposta senza approfondimenti. Questo conferisce una certa piattezza alle due coppie del cartone, che non suscitano alcun interesse o vivacità, limitandosi a supportarsi a vicenda nonostante le difficoltà che affrontano. Non c'è traccia delle preoccupazioni che li inquietavano nel '61.


La vicenda si concentra su pochi protagonisti maschili; quelli femminili compaiono brevemente, eppure riescono a fare danni: le cagnette che al provino sbavano per Fulmine e trattano il compare come uno sfigato (perchè non sufficientemente attraente) sono detestabili, un clichè delle fans in crisi di nervi per il fusto di turno (che torneranno altre volte, come in Hercules). In materia di fat shaming, ho notato che le poche donne snelle nella storia sono anche giovani (e attraenti); quelle robuste sono esclusivamente di mezza età, per non parlare della tata, che è pure goffa e ridicola (anche lei compare solo in un paio di scene). Ovviamente, nonostante gli anni passino e la sensibilità dovrebbe maturare, non poteva mancare il solito "Ciccione!" rivolto all'aiutante invidioso di Fulmine. 
L'unica protagonista è Crudelia De Mon, ridotta a una macchietta di sè stessa: non ha più il fascino tetro e spettrale che ha reso celebre il personaggio, non incute nessun timore: potrebbe tranquillamente comparire in un cartone da fascia pomeridiana di Italia Uno. I suoi diabolici tentativi sono gli stessi (il film ripete molti degli sviluppi narrativi dell'originale), ma con esiti grotteschi che ricordano quelli di Orazio e Gaspare. Insomma, non in quanto stereotipo femminile ma nella costruzione del personaggio fa un significativo passo indietro, forse inevitabile per la difficoltà di caratterizzare nello stesso modo una cattiva Disney ormai mitica. 


La vicenda principale interessa Macchia, cucciolo che si sente anonimo in mezzo a tanti fratelli e sorelle, e Fulmine, il suo eroe televisivo, che si rivelerà molto meno coraggioso e altruista di quanto il suo programma faccia credere. Il messaggio, in questo caso, trovo sia positivo: al di là delle apparenze, Macchia scoprirà di aver idealizzato il suo beniamino e di poter dimostrare il suo valore quando la sua famiglia finirà di nuovo nelle grinfie di Crudelia, cementando così la sua autostima e realizzando finalmente che la sua famiglia lo ama così com'è.
Nonostante la mia scetticità iniziale, un sequel gustosamente divertente e tenero (senza la tenerezza non andrei da nessuna parte) che purtroppo non dà elementi di analisi alla mia tastiera tiranna. 

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