giovedì 12 marzo 2015

Ritorno all'isola che non c'è

Ho deciso di riprendere le fila di un blog vecchio cinque anni e tornare con gaudio a massacrare i gioielli Disney. Oggi parliamo del sequel de Le avventure di Peter Pan: solitamentge integravo la recensione del sequel all'originale, ma su questo ho voluto insistere, essendoci di che contestare e riflettere. 



Sono passati almeno una ventina d’anni dalle peripezie di Wendy con Peter Pan e compari 
e apprendiamo che la protagonista ha lasciato la fanciullezza e avuto dei bambini suoi (l’unica forma di crescita e realizzazione che ci viene riportata per lei è la maternità). C’era da scommetterci, è la copia di sua madre, paziente e amorevole fino allo stordimento.
L’Inghilterra è minacciata dalla guerra e gli uomini lasciano le famiglie per proteggere il paese. Che immagine patriarcale meravigliosa: la cura alle donne, la protezione agli uomini. Il marito in partenza (scoop: nel libro è uno dei bimbi sperduti) dice alla figlioletta Jane, devi restare qui a occuparti della mamma e di Denny. Qualsiasi cosa succeda, mi devi promettere che baderai al tuo fratellino (non a sé stessa, magari). Il posto degli uomini è il mondo, quello delle bambine è la casa, dove prendersi cura della famiglia. Il clima di ansia prebellico ha fatto crescere troppo in fretta la bimba, che abbandona i sogni dell’infanzia e si arrabbia quando la madre racconta al fratello la favola di Peter. Ricorda il padre di Wendy, che invitava i figli ad abbandonare le fantasie e puntare alla razionalità.



 Rapita da Capitan Uncino che la scambia per Wendy, Jane si rivela del tutto diversa dalla madre: incapace di giocare, testarda e incurante delle attrazione dell’isola, decisa a tornare a casa perché troppo presa dal ruolo di sorella maggiore e dalle sue gravose responsabilità.
Diciamo pure che il film  una gran lagna di battute stucchevoli e tempi morti fino all’arrivo di Capitan Uncino, che insieme a Spugna mi fanno ancora molto divertire. Il personaggio del cattivo è rimasto identico a quello di sessant’anni prima: vorrebbe fare il duro, ma non ci riesce e cade nel ridicolo per gli atteggiamenti isterici, infantili e “da femminuccia”. E’ proprio il solito scambio di ruoli a generare la comicità.



A parte Wendy e Jane, nessun personaggio è troppo cambiato rispetto a qualche anno prima: Peter è il solito bambinone libero ed egoista, un ruolo che ai personaggi femminili deve fare una certa gola anche se non se fa parola, sicuri che per le bambine non sia invitante il pensiero di slegarsi da fratelli e responsabilità e farsi i fatti propri, esposte ai pericoli e alle gioie (non è certo un caso che le protagoniste siano sempre maggiori dei fratelli maschi; del resto, se fosse capitato il contrario, immagino già scenari di attenta, ti proteggo io e là non andare, è pericoloso). Immagine ideale della fanciullezza spensierata e gagliarda, è sicuro di sé, impavido e ottiene sempre ciò che desidera: non c’erano dubbi sul fatto che non potesse chiamarsi Jane, o Wendy. Non c’è femmina in grado di impensierirlo perché coi suoi modi spavaldi e affascinanti piace a tutte, dando vita alla solita concorrenza femminile fomentata da millenni.



Trilli anela ancora le attenzioni di Peter ed è divorata da nuove gelosie, essendo rimasta l’adolescente vanitosa in cerca di conferme, l’animaletto da compagnia  (nel libro muore dopo un anno dalla visita di Wendy, poiché le fate non vivono a lungo). E’ solo un po’ gelosa, come tutte le bimbe che conosco, spiega Peter a Jane per giustificare le sue cattiverie: il talento di Disney nel fabbricare questi subdoli e imbarazzanti sottotesti per tutte le bimbe all’ascolto non ha pari nel cinema.
Il primo incontro tra Jane, Peter e Capitan Uncino è eloquente: lui aveva bisogno di un’esca per catturare l’eterno nemico e gliela mostra trionfante come fosse una cernia attaccata all’amo: la vuoi? Vai a prenderla! e la butta verso il mare. Sempre bottini di guerra e conquista, non c’è pericolo si sbagliarsi!



Anche una volta liberata, l’impatto di Jane con la vita sull’isola non è delle migliori, del resto a lei non fregava nulla di venirci. Se ne infischia delle fate, delle sirene e dei bimbi sperduti, che sono ancora a caccia di una madre e si aspettano che la bimba ricambi il desiderio, anche se è loro coetanea. Evidentemente nessuno li ha istruiti sul fatto che il genere femminile abbia anche altre aspirazioni: non dipende dall’età, solo dal genere. Mentre Wendy non chiedeva di meglio, la maternità era innata in lei già a dieci-dodici anni, Jane si ribella a questo ruolo non per una qualche forma di autodeterminazione, ma perché è stata portata lì contro la sua volontà, ha tanti problemi per la testa e zero voglia di giocare. Una volta che si rilassa e ritrova il suo aspetto infantile, i bimbi la eleggono sperduta alla loro pari, e non una versione accudente (viva!).



Questa definizione di Jane, decisa a tornare a casa senza godere del divertimento e di essere pratica, senza perdersi in fronzoli ha un’accezione esclusivamente negativa, come conseguenza delle guerra e delle responsabilità nei confronti della famiglia. I bambini cresciuti in modo sano amano giocare e sono spensierati, finché sono maschi; se poi sono bambine, sono anche ingenue e boccalone, ma molto in gamba se si tratta di avere cura dei fratelli minori. Sotto questo aspetto, non c’è nessuna crescita di questi personaggi: madre e figlia sono legate ai fratellini dai sentimenti di maternità, non di fraternità. L’ossessione di Wendy e di Jane per il ritorno a casa richiama obblighi che neanche i fratelli. Ecco perché, sotto l’aspetto degli insegnamenti, i sequel dei classici Disney non funzionano: per piacere ai bambini così come erano piaciuti gli originali, devono restarne vicini allo stile, alla definizione  dei personaggi e alla loro crescita a seguito degli eventi. Questo comporta un messaggio di genere ancora patriarcale e antiquato, considerato che i classici Disney vanno dal ’38 al ’98. In più, i sequel dove la storia prosegue con i figli dei protagonisti hanno inevitabilmente esiti drammatici e poco divertenti, a mio modesto avviso.



L’analisi di Jane si rivela più interessante del previsto, in quanto unico nuovo personaggio e sfaccettata di aspetti più e meno innovativi: è più smaliziata e determinata della madre, meno ingenua e accudente. Affronta Capitan Uncino con una spada, si costruisce una zattera per tentare il ritorno a casa, non vede Peter come il suo pigmalione e non è inutilmente gelosa. Questo le permette, una volta abbandonate le ostilità, di goderne semplicemente l’amicizia. Priva dello spirito materno di Wendy per i bimbi sperduti,  è in grado di rispondere e giocare con loro alla pari, così come non è sempre in ansia per l’incoscienza di Peter nell’affrontare i pericoli.



D’altro canto, però, è lei la causa della cattura di Peter, dei bimbi sperduti e del rischio di Trilli di spegnersi per sempre, della serie la colpa delle donne: colpevole di non essere abbastanza bambina da credere alle fate, ma ingenua a tal punto da credere a Capitan Uncino. Ovviamente ha un momento di sconforto e si abbandona al pianto ma poi si rianima, mentre Peter non piange neanche in punto di morte ed esorta gli amici a fare altrettanto per non dare ai pirati la soddisfazione; quelli se ne infischiano e scoppiano in lacrime appena girati spalle al tronco.
Nel finale la solidarietà ritrovata tra Trilli e Jane, a cui la bimba ha salvato la vita e che insieme salvano Peter e gli amici con coraggio ripagano le spettatrici esigenti, ma che finale era senza l’intrepido maschio che salva baracca e burattini? Ecco infatti che Capitan Uncino le riagguanta un’ultima volta per permettere a Peter di riscattare la sua reputazione di eroe delle fanciulle.
 

Una volta riaccompagnata a casa Jane, quella (pensa un po’) mostra a Wendy e Denny di aver ritrovato tutto lo spirito perduto dell’infanzia e annuncia tempi più sereni, complice anche il ritorno del soldato vittorioso. L’incontro finale tra Peter e Wendy tocca corde inarrivabili di commozione (ci è riuscito persino con me), dove lui fa intuire tutta la nostalgia per la loro avventura.
Tiro le fila del discorso: se ero stata spietata con l’originale, ben poco posso fare con il sequel. Entrambi sono tra i più inutilmente melensi e retorici della produzione Disney. Tuttavia, Il messaggio goditi la tua infanzia, c’è un tempo per ogni cosa non è poi così banale in un tempo in cui giocare con le bambole dopo i dieci anni è un delitto e bisogna mostrarsi più adulti possibile per fare i fighi.


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